Premessa e un po’ di me.
Le cose che facciamo, viste da un’altra prospettiva, da un altro punto d’osservazione, assumono un altro significato. Insomma ciò che abbiamo fatto ieri o un mese fa oppure 5 anni fa non ci sembrano più le stesse. Ovviamente non sono cambiate le cose. Loro sono ancora bloccate come in un fotogramma nel passato perciò sono immutabili. Siamo cambiati noi, sono cambiate le nostre opinioni, abbiamo fatto esperienze che ci hanno fatto cambiare come persone anche se milioni di individui non se ne accorgono e credono di essere sempre uguali e che sono i “tempi e gli altri a cambiare”. Questa illusoria certezza rende quelle persone più sicure di sé perché il cambiamento è simbolo di insicurezza per molti che ancora oggi credono che chi cambia spesso non ha le idee chiare.
Enorme illusione, ma non è il momento di parlare di questo tema. Perché devo parlare di me e lo faccio usando due colori, come nel libro di Michael Ende, La storia infinita, dove realtà e fantasia sono separati anche nei due colori di stampa.
Ho passato tutta la vita cercando di raggiungere mete che mi sono sembrate sempre abbastanza chiare.
Perciò sono andato avanti, senza accorgermi che, nonostante credessi di andare in una direzione, eventi imprevedibili mi stavano spingendo in un’altra.
E dopo anni e lunghe riflessioni mi sono reso conto che per tutta la vita ho fatto sempre la stessa cosa, in modi diversi e in luoghi diversi o assieme a persone diverse. Ma alla fine era la stessa cosa. In apparenza potrebbero sembrare esperienze slegate, strade diverse, ma alla fine tutte hanno portato verso un’unica meta.
I siti aziendali e personali, non contengono mai pagine come questa, perché c’è chi crede che nessuno ami leggere pagine piene di testo. Ma io credo che la causa sia principalmente la paura di raccontare di sé, della propria impresa e dei propri sogni. Temendo di sembrare vulnerabili e svelarsi alla concorrenza. Sciocchezze!
Anzi, Google, di recente ha ufficialmente invitato a creare la pagina perfetta scrivendo contenuti di qualità senza dimenticare la quantità – quindi basta con le paginette striminzite di 200 parole perché chi usa lo smartphone (una percentuale molto più vicina al 90% che al 50%) quando trova contenuti pesanti, di valore, che rispondono alle sue “intenzioni di ricerca” e forniscono risposte a domande, aiutano a risolvere problemi ed esigenze, è ben contento di leggere anche pagine di 2000 parole e storie interessanti.
Ho deciso di scrivere la mia storia al tempo presente, suonerà un po’ strano.
Come nella sceneggiatura di un film, mi catapulto con te nel passato, come se fosse oggi. Non siamo fatti di tutte le nostre esperienze passate che ci portiamo dentro nel nostro presente? Lo so che è sbagliato e pure stancante e doloroso portarsi la valigia con dentro il passato sempre sulle spalle. Ma questo è solo un escamotage creativo. Della questione “passato e futuro” ne parlerò nel blog sulla Mindfulness.
Caso o destino?
Ho sedici anni e faccio serigrafia, in un piccolissimo laboratorio di famiglia, due stanze, praticamente un negozio. La prima o la seconda serigrafia della città. Nessuno sa cosa sia esattamente. Quando qualcuno mi chiede se faccio qualcosa dopo la scuola, rispondo “lavoro in una serigrafia” e tutti, senza esclusione, cambiano espressione, aggrottano le sopracciglia, piegano le labbra, insomma la tipica faccia di chi non ha capito.
Quindi, per farmi capire, ogni volta, ripeto la stessa formula “stampo adesivi e magliette”.
“Aaaah ecco”, e la faccia torna serena nell’espressione di chi “ho capito ma mi sembra una perdita di tempo dato che non so a cosa servono”.
Almeno il linguaggio visivo aiuta la comprensione. Usare le immagini al posto delle parole, aiuta sempre la comunicazione.
Andiamo per ordine.
Finisce la scuola media e devo scegliere la mia strada, la scuola superiore. Non ho dubbi per una specie di vocazione o illuminazione se vuoi: voglio diventare interprete parlamentare alle Nazioni Unite.
Si vedono raramente in televisione. A 14 anni vedo in TV una ripresa della loro postazione, in alto, quasi sotto il soffitto, con le loro cuffie in testa, passano il tempo a tradurre simultaneamente i discorsi dei rappresentanti di ogni nazione. Se quello non è lavorare nella comunicazione!
Però non accade per vari motivi. È il mio sogno infranto. Chi non ne ha? Voglio far parlare persone di lingue diverse, farle comunicare, nonostante la diversa cultura e lingua.
A volte la vita prende altre strade, come ho già detto, e per strane ragioni crediamo di dover rinunciare per sempre a certi sogni. Apposta si chiamano sogni nel cassetto. Perché non si sa mai.
Finita la scuola superiore con un diploma di Operatore Turistico, lavoro dove la comunicazione è tutto, mi aspetta il servizio militare, ancora obbligatorio. È il 1980. Mi ritrovo all’ufficio trasmissioni di un casermone in Friuli. Mica scelto da me! Ci sono destinato, dopo il corso da telescriventista a Napoli! Dato che il diploma comprende la dattilografia, qualcuno decide che deve servire a qualcosa. Insomma, trascorro metà del mio anno con una cuffia strizza-cranio in testa, digitando sulla telescrivente i messaggi dettati via telefono. Ennesima relazione con un sistema di comunicazione.
Finalmente ho la cuffia anche io! E spesso dovevo pure interpretare il dialetto del soldato all’altro capo del telefono. Questione di punti di vista, lo so. Non è come tradurre il discorso del segretario generale delle Nazioni Unite, ma quasi. Anzi, durante il terremoto di Napoli del 1980, per diverse ore, decodifico il dialetto bergamasco, scrivo e recapito messaggi ai vari destinatari in tempi prestabiliti pena la galera.
È di gran lunga più importante e gratificante che lavorare a Ginevra.
Lo so, a raccontarlo non ci si crede. Ma è appena iniziata.
La radio e tutto il resto
Un passo indietro. A diciassette anni, in piena adolescenza e durante gli ultimi della scuola, sboccia una passione travolgente fra me il mezzo di comunicazione più “fico” di quei tempi: la radio. Per un ragazzo essere un D.J. di una radio privata è il massimo! Altro che Facebook e Instagram: le fan sono in carne e ossa e fanno la fila per farsi fotografare con te! E non solo ovviamente, ma lascio il resto alla tua immaginazione.
Metti che puoi vantare foto di te e un Vasco Rossi, rock star in fase di sviluppo, sono nozze coi fichi secchi!
Anni settanta, le radio private nascono come funghi, la baldoria sembra non avere fine. Perciò, quasi senza accorgermene passo una decina di anni nel mondo della radio, prima per divertimento poi per lavoro. E con un certo successo devo dire. I miei fan su Facebook, ogni tanto mi vedono insieme ad altri speaker famosi dell’epoca, in improvvisati raduni di arzille “voci” del tempo. Nella foto in basso, dopo quella in cui suoniamo “dal vivo” il nostro pezzo da discoteca composto da me e Gabriele Aldini, trovi una foto recente di D.J. Pastina, Gerry Di Maio, Alberto Gabbrici e me in un mini studio radiofonico in occasione di un rendez-vous di un paio di anni fa.
Molti di essi sono ancora in attività.
Io no, come vedi. Negli anni settanta, le radio private sono già una specie di ecosistema, come si usa dire oggi. Se fai radio, prima o poi fai anche altro di simile o compatibile. Essere speaker radiofonico apre anche altre strade come registrare annunci pubblicitari, jingle, presentare programmi televisivi, concerti o altri eventi e, naturalmente, lavorare in discoteca. Dal Light-Jockey al disco D.J., dal conduttore radiofonico alle pubblicità televisive, non mi faccio mancare nulla.
Insieme ad altri baldi coetanei sono anche fondatore della prima radio privata italiana che ha l’onore delle pagine di Sorrisi & Canzoni per il nome che da solo era un programma: Radiomania.
E su quelle pagine ci ritorno durante gli anni a Radio Sabbia di Riccione: il punto di riferimento sulla costa Adriatica della Romagna per tutti i più famosi radio D.J., attori e comici italiani, che passano l’estate nel punto di ritrovo cool della Riviera Romagnola.
Sono anche dall’altra parte della regia, come oggi accade spesso ai radio d.j. Faccio anche musica e registro un 45 giri (ecco la foto dei L.U.S.T.) Ho scoperto da poco che qualcuno lo ha perfino postato su Youtube e che conta anche qualche appassionato in Australia e Norvegia. Cose da pazzi!
Sono gli anni della New-wave e assieme a due cari amici mi dedico pure a quello. Non è comunicazione la musica?
Ogni espressione artistica è un modo per comunicare (lo dicono gli studiosi) e qual è il modo migliore se non raccontare storie? Sapevi che gli irlandesi sono abilissimi favolieri, raccontatori di storie e leggende? Oggi la parola magica che apre tutte le porte è “storytelling”.
Perciò ho esplorato anche altri settori dello spettacolo: ho fatto l’attore semi-professionista o più-che-dilettante. Fai te. Anche recitare in teatro mi ha insegnato cose sulla comunicazione. E devo dire che il teatro, la radio, lo spettacolo e le arti di ogni genere, sono una grande scuola di vita e di esperienze di comunicazione interpersonale. Ho imparato e cercato di usare al meglio delle mie capacità, le tre “v” della comunicazione: visuale, vocale, verbale.
Ma riprendiamo il filo della narrazione.
Mi sono fatto mancare la comunicazione verbale? Ma che scherzi?
Comunicazione visuale con la serigrafia che tornerà più avanti assieme alla grafica. Fatto!
Comunicazione vocale appena detto. Fatto
Fine anni ottanta. Arriva la comunicazione verbale.
Quella che serve a vendere spazi pubblicitari. Parlo tanto in quei sei anni.
1986 – Decido di diventare una persona seria (allora musica, teatro et similia erano lavori per sciamannati – si diceva così e non deriva da “sciamano” per via dei poteri magici … ma da sciamanno, nel senso di vestito logoro e sgualcito. Io però all’epoca vestivo molto cool e costoso, stile Vivienne Westwood e Boy George) e in sei anni cambio tre fra le più grandi concessionarie di spazi pubblicitari in Italia. Fra il 1986 e il 1992, anno segnato da una delle solite “crisi” periodiche in Italia, quella dei mezzi di comunicazione di massa. Inizio nel 1986 vendendo spazi pubblicitari per il quotidiano la Repubblica, sono a Bologna. Poi passo alla filiale di Rimini. Clima migliore ma poca vita di spiaggia per chi deve fare il budget mensile, ahimè. Due anni dopo sono alla Società Manifesti e Affissioni di Milano, allora concessionaria degli spazi pubblicitari per Ferrovie dello Stato e affissione varia esterna in Italia e Fiera di Milano. Inizio come account per l’Emilia-Romagna per gli spazi pubblicitari dentro e fuori le stazioni FS e dopo il primo anno aggiungo anche la figura di account per l’Italia degli spazi pubblicitari dentro le aree ristorazione delle stazioni ferroviarie.
Come qualcuno ricorda, nel 1989 avviene l’omicidio dell’ex presidente delle FS, Ludovico Ligato e per varie ragioni burocratiche che coinvolgono la società, sono costretto (in verità una di quelle volte in cui sei costretto a decidere) a cambiare azienda. Ritorno a Bologna come account per i mezzi stampa periodici del gruppo RCS – Corriere della sera (vedi Amica, Anna, Capital, Bravacasa, eccetera).
Mancano Mediaset e la Sipra/Rai? Ehm, allora non era il momento e ora che il treno è passato, adios!
Crisi della pubblicità, cambi societari e decido di tornare a casa. Nel frattempo l’azienda serigrafica è passata di mano ma sempre in famiglia, quindi decido di cimentarmi nella gestione aziendale per mettere a frutto quello che ho imparato in tutti gli anni precedenti.
Negli anni fra il ’93 e il 2002, torno a occuparmi di serigrafia, prima in veste di riorganizzatore dell’azienda familiare, lavorando in tutti i settori, dalla contabilità alla produzione, poi in qualità di titolare unico.
Trovo anche tempo e voglia di divertirmi, trasformando il laboratorio in un’azienda ecocompatibile e migliorando notevolmente la parte della stampa e il marketing dei prodotti.
Altra crisi economica in Italia alla fine degli anni novanta, molti dicono che è solo isteria. I miei concorrenti non sono più le serigrafie di Forlì, Rimini o Bologna. Il mio cliente più importante per fatturato, azienda produttrice locale ma con mercati in mezzo mondo, lentamente ma inesorabilmente cambia fornitore e acquista in Cina e Hong Kong. È inevitabile per un milione di ragioni e tutte comprensibili.
L’imprenditore non può ragionare con la panza. Deve usare la testa e essere sempre aggiornato per non essere impreparato al cambiamento. Oggi poi non esiste che un’impresa non sia costantemente alla ricerca di soluzioni per affrontare la tempesta.
Fine anni ’90, le cose iniziano a prendere un brutta piega. Inizio a smanettare con Internet e realizzo il primo sito per un’impresa già cliente che se lo ripaga abbondantemente scoprendo clienti in giro per il pianeta. Nessuno crede al futuro della Rete. Nemmeno Bill Gates, che afferma che è “una moda passeggera (sic!).
Basta con la serigrafia, si chiude, troppi concorrenti da affrontare, troppi investimenti da fare per diversificarsi e diventare ancora più forti.
Non vedo la convenienza di uno sforzo così imponente, anche in ragione del fatto che la serigrafia sta già adottando tecnologie di riproduzione digitale e questo moltiplica investimenti e incertezze la domanda di mercato è ancora debole.
Insomma, chi me lo fa fare? Meglio andarsene un po’ nel nord dell’Inghilterra e fare il grafico. E nel frattempo continuare a imparare l’html, la grafica per il web e tutto quello che lentamente sta nascendo nei primi anni del 2000. Sedici anni fa, un secolo secondo i tempi della Rete!
Internet non è più una moda. È una cosa serissima per professionisti preparati e aggiornati. Il primo decennio del 2000 corre come il vento.
Il lavoro di consulente deve lasciare spazio per lo studio continuo e l’aggiornamento. Dalla nascita dei social media tutto diventa più difficile, tecnicamente più complesso, servono competenze e conoscenze nuove. Perciò studio più che posso e inizio a trasferire quello che so agli altri, tenendo anche corsi di formazione presso aziende, enti, scuole private e scuole pubbliche. Insegno grafica per il web, html, uso delle piattaforme professionali e altre materie sempre legate alla comunicazione e al web
È stata la comunicazione il mio chiodo fisso o destino, chiamalo come vuoi, la comunicazione interpersonale che ho approfondito di continuo, partecipando a corsi di vario genere, ma anche insegnando italiano a stranieri anglofoni (cosa che mi diverte molto e continuo a fare quando ho tempo); la comunicazione aziendale, la comunicazione visiva, vocale e verbale, il mio pane quotidiano negli ultimi quarant’anni. Hanno viaggiato separatamente o unite al web marketing, al social media marketing a seconda dei momenti della mia vita e delle esigenze dei clienti. E, soprattutto, a seconda del mio livello di preparazione che controllo periodicamente. È il modo per sapere se sto migliorando, quali competenze mi rendono diverso e migliore rispetto ai concorrenti, e qual è quel “qualche cosa di magico” che mi rende speciale e unico agli occhi dei potenziali clienti.
Ora sono giunto verso la fine del mio viaggio nel mondo della comunicazione e, come ho scritto all’inizio, il cerchio si chiude e ciò che in passato ho dovuto trasformare in un sogno nel cassetto, oggi è parte della mia attività lavorativa: scrivo contenuti per i siti web che realizzo sia in italiano sia in inglese e aggiungo anche l’attività di traduttore dall’inglese all’italiano e dall’italiano all’inglese. Non lavoro come interprete alle Nazione Unite, ma l’amore per le lingue e l’inglese in particolare ha trovato la strada per esprimersi, alimentato da uno studio continuo.
Ogni giorno è una sfida e la mia storia ne è piena. Alcune battaglie le ho vinte, in altre ho patteggiato la resa col nemico, altre ancora sono in corso.
Non posso farci niente, sono fatto così: se non cerco di imparare qualcosa ogni giorno non mi diverto.
È l’era della iperspecializzazione, dove molto spesso vengono richieste competenze ipersettoriali le quali, tuttavia, comprendono pro e contro, anche se io propendo più per i contro. Come riporta il post su Edgar Morin “Di fatto l’iperspecializzazione impedisce di vedere il globale (che frammenta in particelle) così come l’essenziale (che dissolve).”
Da una certa prospettiva essere iperspecializzati rende la vita più semplice perché “… favorendo un approccio di tipo riduzionista, basato sul frazionamento del sapere e della realtà, instillerebbe negli uomini la convinzione che, una volta svolte le attività legate al proprio specifico ruolo professionale, essi sarebbero esonerati da tutti quei doveri politici e sociali che gli competerebbero in quanto cittadini, nei confronti degli altri membri della comunità e del proprio stato. L’idea che la cura del proprio orticello sia sufficiente per ritenere di aver esplicato, in modo opportuno e compiuto, la propria intera esistenza trova la migliore legittimazione e giustificazione nella divisione netta delle conoscenze e ne è diretta conseguenza.”
Fonte: Repubblica
Insomma: alla fine di questa pagina lunga e a tratti un po’ noiosa, diciamoci la verità io, chi sono?
Io “sono stato” tante persone o più precisamente, ho ricoperto tanti ruoli, ho imparato tante cose (ma so di non sapere niente) ma che non sono mai sufficienti perciò continuo a studiare.
Quindi, come si chiede alla fine del terzo episodio il mitico Kung Fu Panda: “Chi sono io?”
Sono il figlio di un panda? Il figlio di un’oca? Un allievo? Un insegnante?
Alla fine sono tutti loro. (musica di suspense…)
Io sono il Guerriero Dragone!
Io mi sono divertito a scrivere questa pagina perché ho anche scoperto che la voglia di studiare, aggiornarmi, imparare e cambiare è ancora viva e mi auguro che tu ne capirai l’importanza: e tu, hai trovato divertente e interessante la mia storia?
Se stai cercando un consulente, non un esecutivo, cioè una persona la cui mansione è mettere in pratica le tue idee, scrivere i testi che hai pensato o creare le campagne che hai ideato, ripeto se stai cercando un consulente in comunicazione aziendale, web marketing o social media marketing, allora scrivimi un messaggio dal form di contatto.
Grazie per il tuo tempo.
Pagina originale pubblicata il: 29 giugno 2016
Aggiornamento pubblicato il: 30 dicembre 2020